L’Italia, che nel contesto mediterraneo si è da decenni trasformata in terra d’approdo, nel passato è stata invece una mesta stazione di partenza per massicce emigrazioni. Soprattutto a partire dallo spartiacque ottocentesco dell’Unità d’Italia, il fiume umano della disperazione nera ha rappresentato una costante, un “moto a luogo“, una plurale avventura capace di elevare la mostruosa montagna di oltre 873.000 anime espatriate (picco del 1913) quale penosa conseguenza della lunga e profonda crisi economica, organizzativa e politica di quella che Metternich, nel 1847, aveva già maliziosamente definito «una mera espressione geografica». Una grande diaspora globalizzata di oltre 14 milioni d’italiani, realizzata principalmente tra il 1876 ed il 1915, in buona parte indirizzata verso Europa e Americhe, mestamente messasi in marcia da Veneto, Friuli, Lombardia e Piemonte, regioni afflitte da carenza di terra da coltivare e da una spaventosa povertà, poi allargatasi ampiamente anche al sud. Film, libri, documenti e foto social restano oggi a testimonianza di tale condizione. Noti gli scatti delle cosiddette valigie di cartone, ma più forti e significative le odiose pagine sbiadite che su quotidiani e report statunitensi raccontavano e raccontano ancora oggi gli umilianti riti d’ingresso a New York di quegli italiani valutati, secondo molte “carte”, come più abominevoli, sconci, incivili e sfaticati di quegli africani che negli States di inizio ‘900 erano considerati appena poco più che bestie. Eppure fu proprio da quelle masse che nacquero gli “italoamericani“, donne e uomini di forte tempra e ostinate tradizioni, capaci di inventare fiorenti comunità e una nuova generazione di figli lavoratori, perfino di utili soldati alla causa di Zio Sam durante la ben ponderata missione bellica della Seconda guerra mondiale.
Durante la Seconda guerra mondiale, infatti, migliaia di GI di origine italiana, i tanto celebrati soldati americani, furono arruolati e usati dalle ben fornite forze armate statunitensi. Marina, aviazione, soprattutto fanteria, la Campagna d’Italia, avviata con lo Sbarco in Sicilia, spinse il miracolo del ritorno alle origini, della possibilità di visitare i paesini natali, i propri avi, di vivere le antiche tradizioni religiose o i troppo sanguigni riti d’interesse ereditario. L’Italia delle meraviglie paesaggistiche, delle millenarie e inarrivabili bellezze culturali, svegliò così la voglia di comprensione di un mondo intimo e sommerso nelle comunità emigrate d’oltreoceano, quello del dna sovrascritto dalle tradizioni dei propri popolosi neighborhood urbani, dai dollari, dalla lingua anglosassone, dalle emarginazioni razziali e dai costumi non del tutto compresi. Il fenomeno dell’incontro con i parenti, da alcuni illustri studiosi denominato Visits Home o Return Visits, favorito anche dall’assestamento dell’occupazione del sud Italia, divenuta dopo gli sbarchi una sicura retrovia, avviò un vero e proprio processo nostalgico passato dal concetto di semplici brevi licenze militari, le visite appunto, a quello delle lunghe permanenze degli emigranti più facoltosi, quelli poi diventati una sorta di mito, di culto laico economico: lo zio di successo con i money! In molti casi, infatti, la nostalgia fu pure funzionalmente usata per stabilire dei contatti duraturi e continuativi nel dopoguerra, generando un altro fondamentale pezzo di quella globalizzazione che aveva trovato terreno fertile proprio in Sicilia e Campania durante l’occupazione degli Alleati. Un turismo sentimentale o potremmo dire, per i più fortunati, di vera glorificazione. Tanti gli italoamericani pronti e mai paghi di contribuire alle necessità di rinascita dei propri luoghi d’origine. Famose le parodie del nostrano cinema comico su tale fenomeno che con Totò, nella parte del cigno di Caianello, raggiungono il proprio apice nella gag in cui blocca con la banda musicale il discorso di Joe Pellecchia, il paisà arrivato con tanti biglietti verdi ma che alla fine si sente preso in giro dall’intera cittadina e torna in America senza più finanziare l’amministrazione locale.
Ma le visits home, in combinazione con il turismo di ritorno di chi aveva combattuto in Italia, non solo statunitensi, britannici e tedeschi ma perfino australiani, polacchi, neo zelandesi o brasiliani, senza dimenticare le rispettive famiglie e le seconde generazioni, hanno contribuito alla internazionalizzazione della cultura, allo sviluppo di una mitizzazione del Bel Paese che ci ha resi, dopo la Francia, meta privilegiata di ogni “vacation time” e prima meta dei ricongiungimenti generazionali. Origine e destinazione, vecchio e nuovo, il passato da consumare ed il futuro da riscrivere nelle pagine dei tanti “paisà” che poco alla volta riconobbero la propria gente, la propria reale terra di provenienza con cui creare finalmente un doppio mondo, al di qua e al di là dell’Atlantico. Proprio con la pratica dei Rest Camp, dei centri di svago e riposo dedicati ai soldati alleati, di cui vi ho già parlato in precedenti articoli e nei miei testi, si consolidarono alcune tradizioni del turismo moderno. Tanti soldati e ufficiali delle divisioni multietniche e internazionali che avevano occupato Puglia, Sicilia e soprattutto la Campania, trascorsero il proprio periodo di licenza, ad esempio, sull’isola di Capri, nel principale centro turistico militare allestito in Italia dagli americani, acquisendo la conoscenza della nostra cucina mediterranea, dei piaceri del buon cibo e visitando meraviglie paesaggistiche e architettoniche del calibro della grotta Azzurra o della Villa di Tiberio. Uno dei simboli di questa rinascita dei valori delle origini, poi diventata tradizione del turista americano in senso più generale, è quello dell’acquisto delle Capri Bells, delle campanelline, quotatissimo souvenir locale, che ricordano il cosiddetto e presunto “miracolo della campana di San Michele“.
Ma che siano leggende o verità, dobbiamo ricordare che grazie ai tanti turisti in uniforme e alla pubblicità che riportarono in patria, oggi c’è grande considerazione del Bel Paese, delle sue unicità gastronomiche, naturalistiche, culturali e immateriali. Tornate qui nipoti di quella guerra. L’Italia vi aspetta non più per essere salvata ma, “scusate se è poco”, come diceva il principe De Curtis, per salvarvi!
Author Giuseppe Russo – Tutti i diritti riservati © giugno 2022 Riproduzione vietata
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