Non solo Montecassino. Durante la WW2 anche le Marche parteciparono alla silente battaglia per il salvataggio del nostro patrimonio culturale
La Seconda guerra mondiale, che con l’attuale crisi in Ucraina non sembra più solo un polveroso evento del secolo scorso, fu un’immane tragedia, un diabolico tritacarne per militari e civili, una chiara espressione di cinismo ideologico tra i contendenti, tale da coinvolgere la stessa cultura dei popoli in conflitto. Proprio i nostri beni culturali, attenzionati da soprintendenze e dal Ministero dell’Istruzione, dal 1936 guidato dal celebre ministro Giuseppe Bottai, padre delle prime strutturate leggi per la protezione del patrimonio storico-artistico e paesaggistico italiano, dalla primavera del ’40 si ritrovarono sul vasto fronte di guerra europeo, finendo così impacchettati, blindati, potremmo dire trincerati, perfino trasferiti in “luoghi più sicuri“.
Simbolo di questi spostamenti, dei tentativi di nascondere un invidiabile patrimonio agli occhi di un nemico di “cielo, mare e terra” – ricordiamo gli attacchi navali in Liguria, i bombardamenti aerei degli angloamericani e le ritorsioni sul campo dei nazisti in ritirata – è sicuramente l’Abbazia di Montecassino, protagonista di una delle più ignobili e inutili distruzioni della World War II, ma anche di una minuziosa e coraggiosa opera di salvataggio ricaduta sulle spalle dell’abate Gregorio Diamare. Personaggio di grande profondità culturale e umana, morto dopo la fine del conflitto, riuscì a salvaguardare patrimoni come il tesoro di San Gennaro o il medagliere di Siracusa, oltre che preziosi codici miniati e tante altre opere trasferite nella badia benedettina da diversi luoghi del Paese, in ciò che si riteneva “santuario intoccabile“, a torto, perfino in quel folle periodo.
Ma nel turbine della pura irrazionalità novecentesca, di un conflitto da oltre 55 milioni di morti, non fu solo Montecassino a frapporsi tra cultura e odio, tra civiltà e oscurantismo. Poco prima della nostra entrata in guerra, di fatto, un altro importante fronte si aprì sull’Adriatico, nelle belle terre marchigiane, precisamente a Sassocorvaro, venti chilometri da Urbino, grazie ad un silente e cocciuto eroe: Pasquale Rotondi.
Poco più che trentenne, originario di Arpino in provincia di Frosinone, dal ’39 neo Soprintendente alle Gallerie e alle Opere d’Arte delle Marche, Rotondi divenne presto punto di riferimento per la salvaguardia di un’importante porzione di beni culturali italiani, incaricato direttamente dal già citato ministro Bottai di escogitare soluzioni per il superamento della tempesta bellica in arrivo. Inviato nella famosa città di Raffaello, specificamente per verificare l’uso di Palazzo Ducale, resosi conto della pericolosa presenza di un deposito della Regia Aeronautica, affiancato dal quasi leggendario autista e amico Augusto Pretelli, Rotondi iniziò a perlustrare gli affascinanti centri marchigiani arroccati sulle colline dell’area di Montefeltro, per trovare una o più sedi adatte alla conservazione del nostro delicato patrimonio artistico.
Il suo difficile compito, che prevedeva l’identificazione di una struttura che assicurasse il massimo della protezione possibile, quindi la vicinanza ad Urbino, la presenza di un ambiente asciutto e solido, un’adeguata distanza da zone industrializzate o, peggio, militarizzate, oltre che la prossimità a fonti d’acqua per combattere facilmente eventuali incendi, si materializzò improvvisamente dinanzi alla muscolosa Rocca di Sassocorvaro. Con la sua struttura circolare e compatta, forma difficile da colpire dall’alto, ma anche per la chiara robustezza delle sue mura, evidentemente capaci di resistere bene ai colpi d’artiglieria, la fortificazione ubaldinesca di epoca rinascimentale fu un vero colpo di fulmine per Rotondi. Proprio con la scelta di questo luogo si apriva, quindi, una delle battaglie più silenziose e importanti per la salvaguardia della nostra essenza culturale e storica, soprattutto considerando gli scarsissimi fondi statali disponibili ed il ritardo nella loro erogazione. In sostanza, tale eroica operazione si sarebbe svolta solo grazie all’ingegno del Soprintendente, al suo instancabile assistente, ai cittadini del centro marchigiano, al Preside della scuola media Filippo Martufi, amico d’infanzia miracolosamente ritrovato nel luogo e momento giusto, nonché all’Amministrazione comunale rappresentata in quel frangente storico dal Sindaco Giovannetti. Quindi non solo ingegno e disponibilità, ma anche dimostrazione pratica del proverbio “Audentes fortuna iuvat“. Pasquale Rotondi non aveva mezzi e fondi a disposizione ma, grazie alla “provvidenza“, trovò un incredibile mix di aiuti inattesi, di amici che non vedeva da anni, di artigiani e imprenditori che compresero la situazione e lavorarono a credito senza certezza di recuperare quanto speso.
Una rocca, una comunità disponibile, amici, un fedele assistente e soprattutto la sua minuziosissima gestione che iniziò ad esprimersi dal 5 giugno del 1940, quando il Ministero chiese di avviare le attività di trasferimento e salvaguardia di un patrimonio proveniente da Fano, Pesaro, Jesi, Ancora, Ascoli Piceno, Fermo, Osimo, Fabriano, Macerata e perfino dall’isola di Lagosta nell’attuale Croazia, territorio italiano poi perso con la guerra. Così, al 16 agosto del 1940, appena due mesi dopo l’entrata dell’Italia fascista in guerra, a Sassocorvaro c’erano già ben 18 rulli e 77 casse piene di opere d’arte, materiali ceramici e libri preziosi, dimostrazione di un piano perfetto che iniziava a stuzzicare anche altre soprintendenze bisognose di trovare urgentemente ricoveri sicuri. Significativo il caso delle opere veneziane che, dopo la positiva verifica dell’Ispettore Paolo Pallucchini, iniziarono il proprio viaggio verso la salvezza su casse adagiate su oscillanti gondole usate per il trasferimento verso la terra ferma. Il 16 ottobre del 1940 giungevano dal Veneto 40 casse e 16 rulli pieni di beni culturali tra cui, si ricorda, il preziosissimo dipinto “La Tempesta del Giorgione“. La famosa “lista Rotondi“, ovvero il prezioso inventario che lui stesso teneva maniacalmente, riuscì a salvaguardare fino alla fine della guerra, pur con ulteriori rocamboleschi trasferimenti, che vi racconterò nei prossimi articoli, oltre 7.000 opere tra cui quelle di geni come Piero della Francesca, Mantegna, Giorgione, Tintoretto, Tiziano, Raffaello o Vivarini.
Una storia, come quelle di Mons. Diamare, di Guerrera Guerreri o di Rodolfo Siviero, che affascina per l’incredibile eroismo mostrato nelle normali ma rischiose azioni quotidiane compiute senza spavalde e false immagini cui siamo abituati dal propagandistico cinema americano. Una storia di gente reale, come voi gentili lettori, che fece di tutto per salvare la nostra cultura e lasciare una preziosa delle eredità ai propri figli: memoria e civiltà.
Author Giuseppe Russo – Tutti i diritti riservati © settembre 2022 Riproduzione vietata
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