In un periodo di ripresa economica, finalmente seguita ad una pandemia che ha rischiato di catapultarci in una sorta di replica del disastro del secondo conflitto mondiale, a molti tornano in mente le immagini dei nostri nonni vestiti di stracci, con le case martellate dai bombardamenti o delle nostre istituzioni smembrate e occupate dagli angloamericani. Un pensiero che, subito dopo, ci ricorda con nostalgia anche il periodo della ricostruzione, lo sforzo lacrime e sangue che permise la rinascita economica italiana o, dovremmo dire, la realizzazione di un vero e proprio miracolo sociale, industriale e culturale. Dalle macerie delle nostre terre, principalmente tra il 1951 ed il 1963, periodo durante il quale l’Italia vide il suo Pil crescere di circa il 6% annuo, con un incredibile picco dell’8,3% nel ’61, le donne e gli uomini di un Paese sostanzialmente azzerato dalla guerra riuscirono a rimettersi e rimetterci in piedi creando le condizioni per il benessere dei propri figli e delle generazioni future. In tutto il mondo il caso italiano fece scuola e le strategie applicate dai padri politici di una Repubblica sorta dalle ceneri del fascismo, soprattutto da quelle di una obsoleta monarchia, furono tanto spregiudicate quanto efficaci. Le famiglie italiane conquistarono finalmente quel tanto atteso benessere che portò in casa le lavatrici, oggetti quasi magici che permettevano di evitare la fatica del lavaggio a mano, la televisione, con i suoi popolari e amichevoli personaggi mediatici, o il “frigidaire”, che finalmente allontanava la schiavitù della spesa quotidiana e permetteva una più variegata dieta alimentare.
Ma, ancor più, l’Italia cambiò soprattutto grazie allo sviluppo della mobilità di massa e alle sue automobiline bianche, mezzi alla portata di quasi tutte le tasche, in grado di unire città che fino a poco prima sembravano quasi irraggiungibili. Nacque così il mito della vacanza, il rito della gita fuori porta, delle ferie a mare, delle moderne escursioni religiose che diffondevano al popolo la cultura delle città d’arte e dei maestosi santuari cui affidare speranze e sogni per se stessi ed i propri figli. Un miracolo appunto, in un’Italia alla conquista del capitalismo, del sistema economico produttivo, del consumismo lanciato dall’ambiguo Piano Marshall, il famoso European Recovery Plan americano del quale ho orgogliosamente documentazione fotografica di famiglia grazie a mio padre che vi partecipò, quale sottufficiale della Marina Militare Italiana, quando negli anni ’50 si recò a New York per la consegna all’Italia di diverse navi militari statunitensi destinate a rinforzare la nostra difesa marittima.
In diversi casi, però, questo miracolo si realizzò ancor prima del previsto, addirittura tra le fumanti macerie della guerra, dando vita a sviluppi inaspettati in grado di apportare grandi benefici all’intera società italiana pure in senso culturale, morale e sociale. Questo è il caso della famosa ditta Alberti di Benevento, quella dello straordinario Liquore Strega, dei favolosi torroncini e degli artistici cartelloni pubblicitari testimoni di un’epoca e di una rinascita che ci avrebbe inserito nel novero delle prime sette potenze industriali al mondo. Un’azienda sorta nel lontano 1860, nei pressi della stazione ferroviaria della città delle streghe, con l’intento di diffondere in tutta Europa il suo particolare liquore giallo, colorazione dovuta alla presenza dello zafferano e di altre erbe aromatiche delle aree fluviali del beneventano che, ancora oggi, ne caratterizzano straordinariamente il particolare sapore. Un progetto di famiglia che durante i primi anni del ‘900, dopo aver aperto uno stabilimento a Tripoli, aveva consolidato la produzione ed il marchio legando il nome del proprio liquore alla leggenda che fissava in Benevento la perduta sede di Sabba e dei riti di stregoneria ad essa connessi. Durante il ventennio fascista, poi, questa impresa aveva continuato ad espandersi in Francia ed in Svizzera diventando simbolo culturale del Made in Italy prima ancora di subire i tremendi bombardamenti angloamericani che, dall’agosto del 1943, le regalarono gravissimi danni alla distilleria, al magazzino e alle officine, uccidendo anche alcuni componenti della famiglia Alberti, facendole rischiare la completa rovina alla quale, invece, non sfuggì l’altro simbolo della città: la Cattedrale di Santa Maria Assunta. Dopo i primi momenti di dolore, con grande spirito di iniziativa e coraggio imprenditoriale, l’azienda riprese velocemente la produzione e, memore della terribile esperienza nazionale e locale, nel dopoguerra mitizzò il proprio nome anche nel campo culturale con il famosissimo e prestigioso Premio Strega, concorso letterario istituito nel 1947 da Maria Bellonci e Guido Alberti proprio con lo scopo di favorire una cultura di pace, di tolleranza e di unione in un’Italia sconquassata dal nazifascismo e dalle battaglie sul proprio territorio. Un vero miracolo italiano industriale e culturale, un prodigio economico e sociale che avvenne circa dieci anni prima di quello straordinario “boom economico” che ci avrebbe resi la patria della produzione di stile e di qualità, un miracolo che dovremmo assolutamente ripetere. Per il momento ricordare operai, impiegati e imprenditori come quelli della ditta Alberti, che ripartirono da zero e tornarono ad essere grandi in poco tempo, può essere un perfetto stimolo per le menti che non hanno voglia di fermarsi mai, soprattutto oggi che le statistiche mostrano una strana ripresa senza “lavoro” e un assente peso internazionale dell’Italia in un’Europa squilibrata e, troppo spesso, profondamente egoista. E ora ci vuole proprio un goccetto di Strega, quello che i soldati canadesi, durante l’occupazione di Benevento, bevevano con “tal piacere” da finire ubriachi e nudi per le strade della città. Salute a tutti!
Author Giuseppe Russo – Tutti i diritti riservati © settembre 2021 Riproduzione vietata
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